L'angelo di via Appiani, racconto di Carlo Silvano




Durante il giorno George lavora a Quinto di Treviso in una fonderia: a lui spettano i lavori più umili come lavare e tenere in ordine i servizi igienici. Impegno e volontà ne mette tanta il ghanese che arriva a un metro e sessanta centimetri di altezza ed è nero come il carbone, ma i bagni dovrebbero essere stati rifatti da tempo: tutte le mattonelle sono incrostate e sia le condotte dell’acqua potabile che quelle fognarie sono così vecchie e obsolete che perdono e si otturano in continuazione. George cerca di spiegare le difficoltà che incontra nel suo lavoro nel mantenere decorosamente pulite le docce e i lavabi, ma nessun responsabile della fonderia lo ascolta, perché costa troppo demolire e rifare i servizi igienici, e poi le logiche del profitto impongono la risoluzione di altri problemi, come quello di garantire la produzione giornaliera dei manufatti in ghisa, ridurre i costi, tagliare le spese e far quadrare i conti.
George vorrebbe parlare degli angeli con un algerino, Mohamed Kamel, quando con lui sta vicino alla “sabbiatrice”, una macchina che lucida i pezzi di ghisa utilizzando una turbina che indirizza contro di loro un potente getto di grani di sabbia. L’algerino, però, ha in testa un solo pensiero: è solo in Italia e nel suo paese natio la moglie rischia ogni giorno di trovarsi con la gola tagliata per mano degli integralisti. Kamel non sa chi siano queste persone che uccidono in nome dell’islam e perché lo facciano: sa solo che lo fanno e che sua moglie è indifesa. L’istanza che ha presentato per ottenere il ricongiungimento familiare si è arenata in qualche ufficio della Questura perché Kamel ha il domicilio presso il dormitorio comunale; dovrebbe affittare una casa, un piccolo appartamento, e i soldi li ha pure, almeno per pagare i primi mesi di affitto. A Treviso, però, è difficile che qualcuno affitti un appartamento agli extracomunitari che spesso, troppo spesso, vengono accusati di trasformare le case in porcili e di versare il canone di affitto in ritardo, oppure di non pagare affatto quando senza avvertire nessuno si assentano dal posto di lavoro anche per mesi.
Non manca poi il marocchino che pretende di non pagare il fitto di agosto perché lui quel mese è stato nel suo paese di origine e poco importa se il contratto stipulato col proprietario dell’appartamento contempla quattro anni di affitto. Mohamed Kamel pensa alla sua giovane moglie in Algeria e si rammarica che per colpa di altri lui non possa trovare un alloggio, e in tutto questo a cosa serve ascoltare George? È per questo che spesso sgrida il piccolo ghanese e con modi bruschi gli comanda di prendere i pezzi di ghisa più pesanti. George ubbidisce e si consola pensando che anche Mohamed Kamel ha un angelo che gli vuole bene.
Dopo circa dieci o anche dodici ore di lavoro in fonderia, George compra qualcosa da mangiare a un supermercato economico e se c’è ancora qualche ora di luce, è solito acquistare anche un grosso ananas e qualche bottiglia di birra, per poi andarsene tutto solo sulla Restera ad ammirare i cigni che con eleganza si muovono sulle placide acque del Sile. Spesso resta assorto, assente, a contemplare il fiume che scorre, e forse – mentre mangia una fetta di ananas o assapora un sorso di birra – pensa alla sua Africa, a sua madre che è rimasta in Ghana oppure ad uno dei suoi fratelli maggiori che lavora come ingegnere informatico a Boston.
Quando viveva in Ghana, George insegnava in una scuola elementare ed era un maestro rispettato da tutti. Si era sposato e da sua moglie aveva avuto un figlio. Poi era successo qualcosa, qualcosa che George non vuole più ricordare, che non gli dà pace. Con sua moglie si era lasciato ed era venuto in Italia.
In Ghana, però, George ci vuole ritornare anche per dimostrare a suo figlio che lui non è un fallito. George a Treviso vuole lavorare, vuole guadagnare e far crescere i suoi risparmi. Solo quando avrà parecchi soldi potrà ritornare nel suo paese natio e portare un regalo ai familiari e ai parenti, e recuperare ciò che gli importa di più: la stima di suo figlio.
Quando George arriva a bere metà bottiglia di birra, è solito iniziare a frugare nella sua variopinta camicia per tirare fuori un curioso involucro: una busta di plastica contenente il suo permesso di soggiorno, il libretto di risparmio postale e una fotografia che mostra un ragazzo sorridente in giacca e cravatta seduto spavaldamente sul cofano di una vecchia auto. Il ragazzo è suo fratello, è più giovane di lui ed è rimasto nel paese natio dove è diventato qualcuno.
Se George dovesse ora ritornare in Ghana dovrebbe certamente chiedere un aiuto finanziario a suo fratello e ciò sarebbe un’umiliazione insopportabile, sarebbe deriso da tutti i suoi conoscenti, suo figlio si vergognerebbe di lui e anche nei villaggi vicini non si farebbe altro che parlare di un uomo che nella vita non è riuscito a far nulla di buono.
George tira un grosso respiro e con cura ripone la foto nell’involucro di plastica per prendere il libretto postale. Anche se conosce bene l’attuale importo dà comunque un’altra occhiata all’ultima cifra: è ancora troppo poco per ritornare in Africa da suo figlio e per un attimo cerca di pensare a quanti anni ancora dovrà trascorrere in Italia.
Rimette così tutti i documenti nell’involucro e mentre avvicina la bottiglia alla bocca per gustare l’ultimo sorso di birra i suoi occhi stanchi per il duro lavoro svolto nel grigiore della fonderia cercano il bianco immacolato di un cigno.
Prima di andare via, l’uomo del Ghana dà un ultimo sguardo alle acque del fiume nel tentativo di scorgere una trota o una ninfea: si è fatto buio e anche se George vede solo alghe e piccoli vortici, qualcun altro, dal profondo dell’acqua del fiume, contempla un piccolo uomo nero come il carbone, pieno di paure e di speranza, venuto dall’Africa e alto un metro e sessanta. Raccolti i resti dell’ananas e la bottiglia vuota nella borsa presa al supermercato, George si avvia mestamente verso via Appiani dove i suoi amici lo aspettano per mangiare riso e per ascoltare le sue storie sugli angeli.
L’angelo di via Appiani”, pubblicato in “Il bambino e l’avvoltoio e altri racconti” di Carlo Silvano, ed. YouCanPrint (formato digitale)



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