Verso la casa di Dro
Ecco un brano tratto dal romanzo... [pp. 68-77]
Dopo qualche ora
ripresero la via del ritorno, ma giunti a poche centinaia di metri
dalla casa di Dro, Sabrina si fermò e si girò verso Marco. Non
diceva nulla e aveva sul volto l'espressione di chi stesse per
lanciare una sfida.
"Cosa
c'è?", le chiese Marco.
Lei non rispose,
limitandosi ad abbozzare un sorriso interrogativo.
Marco provò a
fissarla diritto negli occhi.
Allora Sabrina,
voltandosi leggermente con la testa verso la sua destra e alzando la
mano con l'indice puntato verso una parete rocciosa, disse:
"Riesci a
vedere quella grotta?".
Marco si girò
verso la direzione indicata da Sabrina, ma non riuscì a scorgere
nulla tra i folti cespugli e il fusto di un alto albero che
appoggiava i rami sul costone della montagna.
"No, non
vedo niente", rispose lui.
"Guarda
meglio", fece lei.
Marco mosse dei
passi versa la direzione indicata da Sabrina, provando a guardare
anche tra le fronde delle piante rampicanti saldamente ancorate alla
parete rocciosa che cascavano verso il suolo. Nulla, però, riusciva
a vedere.
Sabrina, allora,
si mosse anche lei, e superandolo di qualche passo, si avvicinò alla
parete: con una mano si fece largo tra le cime di un cespuglio per
mostrare l'ingresso di una caverna.
"Ora sì
che vedo qualcosa!", esclamò Marco.
Sabrina si limitò
a osservarlo per una manciata di secondi, e senza dire nulla,
estrasse da una tasca della sua borsa una torcia elettrica.
L'apertura della caverna era piuttosto stretta, e in altezza non
superava i tre metri.
"Seguimi!",
disse lei e senza aggiungere altro si avviò all'interno della
caverna.
Marco senza
rendersi conto iniziò a starle dietro anche se il fascio di luce
della torcia faceva fatica a farsi strada nel buio della caverna.
"Forse ci
sono degli animali, dei pipistrelli...", fece lui dopo
alcune decine di metri percorsi.
Lei non rispose,
ma continuò a camminare, come se conoscesse bene quel posto. Marco
ebbe l'impressione che stessero percorrendo una sorta di corridoio
rettilineo e leggermente in pendenza. Le pareti della caverna erano
scure e a volte apparivano piatte, altre volte presentavano anche
degli spuntoni aguzzi, in qualche caso pure taglienti. Percorsero in
silenzio circa cinquecento metri, quando lei, rallentando il passo,
disse:
"Forse per
te è meglio che mi dai la mano, perché ora il cammino diventa un
po' tortuoso e si rischia facilmente di inciampare".
Marco fu ben lieto
di sentire la mano di Sabrina nella sua, e in silenzio continuò a
seguirla. Sabrina aveva la mano calda e di tanto in tanto Marco
gliela stringeva tra le sue anche solo per qualche secondo. Il
cammino iniziò presto a essere tortuoso: c'erano anche dei massi che
ostacolavano il passaggio e dovevano scavalcarli facendo molta
attenzione, così come in altri punti la caverna si stringeva e per
andare oltre dovevano camminare di lato, facendo attenzione a non
urtare col capo certe pietre aguzze che spuntavano dalle pareti.
Marco non fece alcuna domanda a Sabrina: si sentiva tranquillo avendo
nella sua la mano di lei. A un certo punto il percorso che seguivano
iniziò a scendere in profondità: si trovavano nelle viscere del
sottosuolo e Marco pensò che il ritorno sarebbe stato molto
faticoso, però non disse nulla a Sabrina, la quale sembrava sapere
dove si stava dirigendo. Spesso si imbattevano in altri cunicoli e
lei senza alcun tentennamento imboccava un corridoio come se lo
conoscesse a menadito. Lì sotto c'erano tanti cunicoli e ambienti di
varie grandezze. Andarono avanti per molto, fino a che giunsero a una
sorta di stanza: era di forma rettangolare e in larghezza doveva
essere di circa tre metri, mentre di altezza non doveva superare i
due metri e mezzo.
"Questo
ambiente – disse Sabrina mentre col fascio di luce della torcia
ne illuminava anche gli angoli più nascosti – è stato
sicuramente scavato artificialmente, così come pure l'ultimo tratto
del cunicolo che abbiamo percorso. Qui non arriva la luce di Crio né
si possono udire rumori esterni. E' una grotta molto particolare
perché è inodore. Siediti lì", e così dicendo indicò a
Marco una sorta di panchina scavata nella roccia.
Marco sentì la
mano di Sabrina scivolare via dalla sua, lasciandolo, e provò un
nodo alla gola: avrebbe voluto trattenerla, ma fece come lei aveva
detto sedendosi al posto indicato. Anche lei si sedette di fronte a
lui su un masso adattato a sgabello. Per un po' stettero in silenzio.
Marco provava una strana emozione: non si sentiva a disagio, ma
avrebbe preferito sedersi accanto a Sabrina e tenerle la mano.
L'ambiente dove si trovavano era lungo circa sette metri, ed aveva un
solo accesso. Sulla parete di fronte all'ingresso c'era un affresco,
ma Marco non riusciva, per la poca luce, a capire cosa
rappresentasse.
"Posso
spegnere la torcia?", chiese a un tratto Sabrina.
"Perché?",
fece Marco.
"Così
ognuno di noi può stare un po' con se stesso. Se chiudo la luce, ed
entrambi stiamo zitti, non ci sarà nulla che potrà infastidirci".
Marco restò
perplesso, ma acconsentì.
Sabrina, allora,
sorridendo gli disse:
"Tra
qualche secondo spengo e ci immergeremo nel silenzio e nel buio più
profondo. Cerca di non pensare a nulla, prova a svuotarti di ogni
pensiero. D'accordo?".
"Ci
proverò, ma per quanto tempo staremo qui?".
"Non ci
pensare. Sappi solo che io da qui non mi muoverò. Non chiedermi mai
nulla. Resta in silenzio e fidati. D'accordo?".
"Va bene",
rispose Marco che però era poco convinto di quello che stavano
facendo.
Sabrina spense la
luce e in un attimo il buio fu totale: a stento Marco represse un
sussulto che spontaneamente gli stava per uscire. Provò a sedersi
come meglio poté su quella sorta di panchina e una volta trovata una
posizione abbastanza comoda, iniziò a pensare cosa potesse fare. Si
girò un po' intorno col capo per cercare di individuare qualche
eventuale fonte di luce o qualche rumore. Non c'era nulla di tutto
questo però. Il buio e il silenzio erano totali. Sapeva che di
fronte a lui c'era Sabrina e allora si sforzò di percepirne la
presenza: se avesse prestato la massima attenzione, forse ne avrebbe
sentito il respiro o potuto captare qualche eventuale rumore. Nulla.
Gli venne allora il dubbio che Sabrina lo avesse lasciato lì da
solo. Fu però un pensiero che scacciò subito, anche se la
tentazione di chiamarla fu forte.
"Ognuno di
noi può stare un po' con se stesso" erano state le parole
di Sabrina e Marco, ripensandoci, si sforzò di non pensare a nulla.
Visto che oramai stava lì a fare quella strana esperienza, tanto
valeva viverla sino in fondo.
"Non
pensare a nulla" era stato l'invito di Sabrina, e lui ora
voleva provarci.
"Non devo
pensare a nulla", si disse tra sé, e appoggiata la testa
alla parete iniziò a respirare piano cercando di seguire un preciso
ritmo. Aveva appena iniziato a respirare ritmicamente che si ricordò
di quando era bambino e all'asilo, nel primo pomeriggio dopo la
ricreazione, la suora che faceva da maestra chiudeva le tapparelle
delle finestre dell'aula e invitava i bambini a riposarsi tenendo
appoggiata la testa sulle braccia conserte sul banco. Gli venne da
sorridere pensando a certi suoi amici che approfittando del buio
coglievano quell'occasione per fare i rumori più strani e attirarsi,
così, i rimproveri della suora. Rimproveri che spesso cadevano nel
vuoto perché per la suora non era facile individuare i molestatori.
"Non devo
pensare a nulla!", si disse a un tratto Marco tra sé, e
aggiunse:
"Devo
liberare la mia mente da ogni pensiero, da ogni ricordo".
In quella grotta
c'era una strana atmosfera e di fronte a lui doveva esserci Sabrina
che, di certo, riusciva a stare con se stessa, a non pensare a nulla
e a vivere profondamente questa strana esperienza di calarsi nel buio
e nel silenzio più assoluto. Sabrina doveva conoscere benissimo
questo posto, perché ci era arrivata senza alcuna difficoltà, e
quindi chi sa quante volte era venuta in quella grotta a fare questo
tipo di esperienza.
"Ci sarà
venuta da sola o insieme a qualche altra persona?", si
chiese tra sé Marco, e, sempre tra sé, si disse:
"Di certo
la prima volta sarà venuta in compagnia... forse più volte sarà
venuta insieme a qualcuno perché per imparare bene il percorso ed
evitare di perdersi tra queste gallerie, ci vuole un po' di tempo e
qualcuno che ti insegni bene i cunicoli da seguire... chi sa con chi
è venuta".
Marco ebbe di
nuovo la tentazione di causare qualche piccolo rumore per attirare
l'attenzione di Sabrina, ed avere così un cenno della sua presenza,
fosse anche un rimprovero, ma riuscì a reprimersi e a stare in
silenzio, a non turbare la tranquillità che lì si respirava.
"Non può
essere andata via", si disse tra sé Marco e con la testa si
girò in più direzioni per raccogliere con lo sguardo qualche cosa
che eventualmente potesse stare accanto a lui. Niente. Buio totale.
Pace assoluta. Alzò allora la mano destra portandosela davanti agli
occhi, ma non riusciva a vedere nulla neppure facendola muovere
velocemente davanti agli occhi. Con la mano si toccò il viso.
Sentiva le dita ma non riusciva a vedere nulla, proprio nulla.
Chi sa perché, ma
con il gesto della mano davanti al viso, Marco si ricordò di quando
seguiva delle noiose lezioni di economia politica all'Università:
seduto su uno scranno di un'aula che aveva la forma di un parlamento
in miniatura, anziché prendere appunti e ascoltare i dati e le
considerazioni del docente, Marco trascorreva il suo tempo a
scarabocchiare fogli su fogli tracciando linee che non seguivano
alcun ordine. Se quelle lezioni di economia politica non gli avevano
lasciato nulla e l'esame l'aveva superato col minimo dei voti,
interessante, invece, era stata una conversazione che aveva avuto con
quel docente sulla questione istriana. Il cognome del docente di
economia terminava con le lettere "ch", tipiche di tanti
cognomi di italiani vissuti in Istria. Il professore era figlio di un
esule istriano, originario di Pola, e da alcuni anni si era
appassionato alla storia e all'identità linguistica di quei
territori geograficamente italiani, ma politicamente stranieri come
l'Istria, la Corsica e la città di Nizza.
"Continuo
a distrarmi!", pensò Marco, che non riusciva proprio a
liberare la mente da ogni divagazione e ricordo, e, sempre tra sé,
si disse:
"Chi sa da
quanto tempo siamo qui... o forse sono qui da solo". Il
dubbio che Sabrina avesse potuto lasciarlo e andare via gli era,
infatti, ritornato in mente.
Forse battendo
leggermente un piede sul pavimento poteva sortire l'effetto di
percepire la presenza di Sabrina; la tentazione di farlo era forte,
ma ancora una volta si trattenne dal turbare la tranquillità della
grotta.
Poi, sentendo che
le sue labbra erano un po' secche, Marco le bagnò con la lingua: un
gesto semplice che gli fece ricordare la bontà della liquirizia e di
tutte le volte che ne mangiava provandone il piacere di sentirne il
sapore.
E proprio all'idea
di poter gustare della liquirizia, Marco si addormentò.
Quando sentì la
mano di Sabrina sul suo viso aprì gli occhi: la torcia elettrica era
accesa sulla panchina di pietra di fronte a lui.
Marco la guardò
negli occhi e Sabrina, col volto asciutto e inespressivo, disse:
"E' ora di
andare".
Poi, mentre Marco
si alzava, lei recuperava la torcia e, dandogli la mano, si
incamminarono verso l'uscita. A Marco fece molto piacere risentire
nella sua la mano di lei, anche se percepiva che Sabrina era triste.
Ritornarono
all'uscita della caverna in così poco tempo che Marco si meravigliò.
Fuori dalla caverna c'era una luce tiepida e rassicurante e mentre si
incamminavano verso la casa di Dro, Sabrina gli disse:
"Fino a
oggi in questa caverna sono sempre venuta da sola". Non
aggiunse più niente e Marco non ebbe voglia di pensare a nulla.
E' bellissimo questo passaggio del romanzo, quello che io preferisco. Si intuisce essere allegoria della morte, soprattutto interiore: la morte, finalmente, di ciò che è inutile nella propria anima e nella propria mente, al fine di riscoprire in noi solo ciò che è davvero importante, necessario, vitale.. Non chiunque è in grado di accompagnarci nel viaggio alla scoperta di se stessi. E, molte volte, chi ci accompagna, lo fa esclusivamente con noi ("Fino a oggi in questa caverna sono sempre venuta da sola"), direi meglio, per noi, per amore, dopo aver sperimentato la bellezza di aver ritrovato se stesso! Grazie, Carlo. E grazie per il semplice e sereno scambio di memorie storiche sul Veneto e i Veneti, di stasera....
RispondiEliminaGrazie a Te per essere venuto e per il caffè preso in compagnia!
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